il Prof. Roberto Caracci
il Comandante Dario Gatti
In linea con certe istanze di divulgazione scientifica (e
tecnica) già affermate all'inizio dell'anno, questo "evento
aviatorio" vuole ripercorrere la storia del mezzo che forse più
di ogni altro ha catapultato l'uomo della società dei primi del
'900 nella modernità: l'aeroplano.
In quel contesto, il romanzo di Gabriele d'Annunzio "Forse che
sì forse che no", del 1910, testimonia quanto il nuovo mezzo
volante fosse capace di influenzare la letteratura dell'epoca.
Simili influssi colpiscono nello stesso periodo il primo
futurismo.
Tra storia, tecnologia aeronautica, tecnica del volo e
letteratura attraverseremo l'epoca delle origini e del
successivo sviluppo dell'aeroplano fino ad oggi.
*****
Intorno alle 16:00 ha inizio
l'afflusso dei soci. Teiere di the verde cinese aromatizzato al
lychees e the nero turco Rize, con naturali note agrumate,
hanno il loro posto nei gesti di benvenuto e di accoglienza in
sala.
L'hanging mobile che cala dal
soffitto mostra un singolare dettaglio estetico a tema con
l'evento: una rivista d'epoca in materia di aeronautica
pubblicata in Italia nelle prime stagioni successive
all'affermazione dell'aeroplano.
A inizio evento, Raffaele d'Isa
illustra le scelte che sono state fatte sull'abbinamento degli
argomenti. La nascita del volo, all'incirca un secolo fa, è
stato un avvenimento epocale dal punto di vista tecnologico.
L'aeroplano ha inciso enormemente sulla vita civile (e
purtroppo anche militare) nel mondo. Ma anche l'arte e la
cultura hanno risentito significativamente di questa novità,
come apparirà evidente dall'opera letteraria che è stata scelta
come esempio allo scopo: il "Forse che sì forse che no" di Gabriele
d'Annunzio.
Diviso in due parti — e con due relatori di eccellenza
— l'evento ha inizio proprio dal versante letterario. Raffaele d'Isa
dà un breve inquadramento del romanzo — incentrato
soprattutto sulla trama, sui personaggi e sull'ambientazione
— anche per preparare il terreno all'intervento critico
di Roberto
Caracci.
Ma il pubblico viene calato
nell'atmosfera del romanzo anche grazie ad alcuni interventi di
lettura scenica tratti dal "Forse che sì forse che no". Il
primo brano scelto da Sylvie Capelli
costituisce la lunga sequenza di un'ambientazione esotica che
serve a rendere l'idea dell'amicizia cameratesca in una vita di
avventure fra i due piloti, Giulio Cambiaso e Paolo Tarsis
(quest'ultimo è anche il protagonista maschile del romanzo). La
pagina rivela anche un'insospettabile dose di studi preparatori
da parte di d'Annunzio nel campo della meccanica motoristica e
dell'ingegneria navale, con gusto quasi futurista.
Un secondo brano, ricchissimo di vocaboli tratti dal gergo
tecnico aeronautico delle origini, descrive una competizione
aerea svoltasi all'aerodromo di Ghedi, presso Montichiari in
provincia di Brescia. Questa pagina del romanzo si ispira ad un
evento reale al quale partecipò, col suo primo volo, lo stesso
d'Annunzio: Il Circuito aereo internazionale di Brescia, che si
svolse dall’8 al 20 settembre 1909.
Si tratta dell'ambientazione più modernizzante dell'intero
romanzo. In d'Annunzio tradizione e modernità non confliggono
— come accade invece nel caso dei futuristi —, se
il pilota aereo può arrivare a costituire una reviviscenza del
mito di Icaro. Ma la pagina letta da Sylvie è anche quella del
dramma: la rovinosa caduta di Giulio Cambiaso, evento che avrà
un importante peso nella strategia dell'intreccio del
romanzo.
Romanzo "ambiguo" perché sospeso fra ambientazioni di gusto
decadente — già tipiche della precedente narrativa
dannunziana — e riferimenti tecnologici al tumultuoso
mondo di inizio '900, "Forse che sì forse che no" sfodera anche
arditi riferimenti all'automobile, al telefono e perfino al
sommergibile. Ma è l'aeroplano il vero protagonista dello
sfondo narrativo. Per l'occasione d'Annunzio conia anche un
nuovissimo vocabolo, oggi ormai più che affermato: quello di
"velivolo".
L'ultimo "assaggio" del romanzo offerto al pubblico dalla voce
di Sylvie si riferisce al momento del suicidio di Vana, una
delle protagoniste femminili del romanzo. Riferendosi alla
stesura di questa intensa pagina, lo stesso d'Annunzio si
espresse così in una lettera a Nathalie de Goloubeff: "Si è
compiuto stasera il suicidio di Vana. Ma ella non ha sofferto,
poiché ho preso io su di me tutta la sua sofferenza".
Il critico dà inizio al suo intervento proprio a partire dalla
complessa trama di relazioni fra i diversi personaggi intorno
ai quali si sviluppa l'intreccio del romanzo.
L'intervento di Roberto risente molto della sua conoscenza
della psicologia analitica di stampo junghiano. I complessi
rapporti fra i soggetti che interagiscono nel romanzo vengono
infatti spiegati dal critico in termini analogici. La
contrapposizione fra il torbido amore della coppia
Paolo-Isabella e l'amicizia cameratesca fra i compagni di volo
Paolo-Giulio viene infatti inquadrata come una contrapposizione
simbolica terra-aria.
Roberto Caracci
arriva in realtà ad offrire una sorprendente analisi della
visione edonistica di d'Annunzio. L'idea del volo,
simboleggiato dal cameratismo aviatorio fra Paolo Tarsis e
Giulio Cambiaso, rappresenta nella dimensione "aria" una
volontà di affrancamento dai vincoli di qualunque passione
terrena, prima fra tutte l'amore. È un'idea assoluta e
disincarnata di eroismo, che tradisce però un atteggiamento di
diffidenza (apparentemente paradossale, parlando di d'Annunzio)
nei confronti della dimensione piacere. Piacere che proviene,
in fin dei conti, proprio dalla "madre terra" che è ciò che ci
genera e che ci protegge, insegnandoci l'amore.
Le spiegazioni di Roberto Caracci,
procedendo attraverso un'inattesa "psicanalisi di d'Annunzio",
finiscono col rivelare aspetti e risvolti nella struttura del
romanzo probabilmente anche al di là delle intenzioni dello
stesso autore; ma che gettano una luce chiarificatrice sulle
problematiche del superomismo dannunziano.
Ed è così che l'edonista, l'esteta d'Annunzio tradisce
attraverso la trasposizione del suo superuomo del momento,
Paolo Tarsis, una duplice pulsione verso la passione amorosa
più morbosa, da un lato, e verso una dimensione di ascesi
aviatoria dall'altro.
Con precise citazioni dal testo del romanzo, Roberto Caracci
si avvia così a conclusione del proprio intervento.
Riprendendo la parola, anche Raffaele d'Isa
sente il bisogno di aggiungere qualche rilievo critico al
"Forse che sì forse che no", ma da un punto di vista diverso.
Le considerazioni di Raffaele si appuntano maggiormente sulla
singolare posizione del romanzo nella cronologia delle opere di
d'Annunzio. Vero spartiacque tra la produzione del d'Annunzio
"diurno" e quella del d'Annunzio "notturno", il romanzo
nasconde infatti un atteggiamento ambiguo da parte dell'autore
nei confronti degli stilemi fino a quell'epoca consacrati nelle
sue opere.
Per la prima volta in un suo romanzo, d'Annunzio non sceglie un
protagonista dal superomismo aristocratico-genialoide. Paolo
Tarsis è infatti un uomo d'azione, un "superuomo di popolo".
Anche il rapporto con l'alta borghesia dell'Italia dell'epoca
— tradizionale bacino di pubblico per il d'Annunzio
scrittore assieme al mondo dell'aristocrazia — sembra
improvvisamente rovesciarsi nel romanzo. Se da un lato
d'Annunzio indulge ancora in un linguaggio squisito e verboso
— proprio ad uso dei suoi tradizionali lettori — la
borghesia è in realtà sottilmente attaccata e devastata nel
romanzo aviatorio: follia, incesto e suicidio sono gli
implacabili disturbi del comportamento che d'Annunzio ritrae,
forse anche un po' sadicamente, nella borghesia a lui coeva. E
questi segni di disfacimento sono riscontrati proprio nei più
giovani rampolli di quella borghesia. Quasi una sentenza
inappellabile che condanna, nelle malcelate intenzioni
dell'autore, quel blocco sociale ad un inesorabile declino già
agli albori del '900.
E, con quest'intervento
conclusivo sulla parte letteraria dell'evento, si passa alla
pausa Aperithé. Molto ricca di spunti analogici con la materia
trattata è tutta la preparazione gastronomica. E spetta a Sylvie Capelli
illustrare ai presenti i piatti preparati per l'occasione.
La pasta di farfalle e le ali di pollo vogliono alludere nel
cibo a un'idea di volo. Più indietro, una rosticceria di
eccellenza in pasta sfoglia pure rimanda a un'idea di librante
leggerezza.
Ma la creazione gastronomica senz'altro più ardita degli Artisti di
Aperithé è questa volta l'aerobiscotto, consigliato
a chiunque voglia compenetrarsi anche sensorialmente in questo
evento dedicato al volo.
I cibi vengono illustrati da Sylvie, che consiglia gli
abbinamenti e l'ordine da seguire nelle degustazioni.
E su tutto scorrono fiumi di the freddo versato in caraffe,
scelto fra i migliori tipi di the verdi e oolong selezionati
dalla Compagnia del the.
Alla ripresa, tutta l'attenzione si concentra sulla materia del
volo; questa volta vista da un punto di vista tecnico e
tecnologico. Per cominciare Raffaele d'Isa
illustra una breve storia del volo, che è stata curata da uno
specifico gruppo di lavoro della Compagnia del the.
Se l'idea del volo appartiene all'uomo fin dall'epoca del mito,
riferita però a creature sovrannaturali, la prima mitografia
che intravede nell'azione del volo una scienza e una tecnica è
quella di Icaro e Dedalo arditamente definiti, il primo come
l'archetipo del pilota e il secondo come l'archetipo
dell'ingegnere aeronautico.
La complessità della storia del volo suggerisce un necessario
approccio sintetico. Sorvolando rapidamente sui più importanti
precedenti di prove di volo umane dall'antichità fino ai secoli
più recenti, una prima svolta di un certo rilievo avviene dal
punto di vista progettuale grazie al genio di Leonardo.
Ma è nel XVIII secolo che il volo umano giunge a compimento. Si
tratta però del volo aerostatico, e cioè del volo di "macchine
più leggere dell'aria". Siamo ancora lontani dal volo aereo. Il
volo aerostatico da un lato precorre quello aereo, dall'altro
ne sarà concorrente fino agli anni '30 del '900; per poi essere
definitivamente superato dalla moderna aeronautica delle
"macchine più pesanti dell'aria".
Nel corso della seconda metà dell''800 furono soprattutto degli
ingegneri macchinisti ad occuparsi del problema del volo, che
si ridusse così alla mera sfida di sollevare in aria un
congegno mediante un'adeguata potenza meccanica.
Questa visione aveva tuttavia il grave limite di ignorare quasi
completamente gli aspetti relativi al controllo in volo
dell'aeroplano. Ecco perché gran parte di questi esperimenti si
concludevano in fallimenti. L'ostinazione ad usare macchine a
vapore come propulsori, l'uso di materiali che non resistevano
alle forti sollecitazioni e agli attriti una volta in volo, e
l'assenza di efficaci comandi direzionali condannarono le prime
macchine volanti a voli effimeri e a spettacolari cadute.
Un grosso impulso a superare queste problematiche fu offerto,
verso fine secolo, dai libratori. Questi pionieri del volo,
studiando gli uccelli, il vento e l'aerodinamica, diressero
l'attenzione sul controllo del volo, subordinando a questa
conquista l'impiego di propulsori.
Otto Lilienthal, menzionato da d'Annunzio nel "Forse che sì
forse che no" come il "barbaro alemanno", fu un geniale
ricercatore. Diede la vita nei suoi esperimenti, e ispirò il
successivo lavoro dei fratelli Wright.