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Milano
Domenica
12 febbraio 2012
Scoprire
l'India
Un
excursus totale attraverso uno dei più complessi Paesi asiatici
che, malgrado enormi problemi e contraddizioni, costituisce un
modello di democrazia per una vasta area del mondo.
Descrizioni,
suggestioni e rievocazioni di atmosfere. Tra i relatori, la
preziosa presenza e l'indiscusso spessore di Walter Porzio,
infaticabile viaggiatore, scrittore e fotografo.
Un dettaglio
della sede della Compagnia del the durante la fase di ingresso
degli associati.
Allestimento
della sala.
Barlumi di femminilità indiana aleggiano in sala.
Il the di accoglienza — offerto da Arte & Professione del
the — è una versione top grade del raffinato
the indiano Darjeeling, uno
dei the più prestigiosi su scala mondiale.
Breve saluto di Raffaele d'Isa,
che sintetizza le difficoltà di selezione degli argomenti in
una materia così vasta come la civiltà del sub continente
indiano.
Ad Andrea Goffi, dirigente di Aliviaggi Tour
Operator, è affidato un discorso introduttivo
sull'India articolato intorno alle vie di accesso al Paese.
A differenza di altre presentazioni analoghe svolte in
trascorsi eventi della Compagnia del the, Andrea sottolinea le
difficoltà di un'accurata pianificazione delle regioni da
visitare e delle stagioni più adatte in un Paese dal territorio
così vasto e dal clima così variegato. La sottovalutazione di
questi aspetti rischia di diminuire seriamente i risultati del
viaggio in India.
Il tuffo nella storia dell'India è stato compiuto scegliendo
— fra le epoche più nevralgiche — quella dell'Impero Moghul,
che ha lasciato ai posteri un'architettura squisita. Tra le
massime espressioni dei beni culturali indiani è il Taj Mahal,
monumento che risale alla metà del XVII secolo, nella fase di
massimo splendore dell'Impero. Non sono risparmiati
interessanti riferimenti a dettagli artistici e ingegneristici
che impreziosiscono lo straordinario mausoleo.
La storia d'amore fra l'imperatore Shah Jahan e la
sposa preferita Mumtaz Mahal
attribuisce al monumento una particolare coloritura romantica,
intorno al significato sepolcrale dell'opera dedicata alla
consorte imperiale scomparsa prematuramente.
E sembra di rivivere la complessità dei sentimenti che spinsero
Shah Jahan a
dedicare il resto della sua vita — dopo la scomparsa
dell'amata — alla costruzione del Taj Mahal.
Ma il regno di Shah Jahan è la
pagina centrale della lunga storia della principale forza
politica unificatrice di tutti i tempi del sub continente
indiano. L'Impero Moghul
comincerà a declinare nel corso del XVIII secolo, proprio in
corrispondenza dell'ascesa della Compagnia britannica delle
Indie orientali. In questo periodo il colonialismo
occidentale comincia ad evolvere verso la fase imperialistica
del dominio europeo.
Il 1857 è l'anno della rivola dei Sepoys, il corpo
militare al servizio della Compagnia delle
Indie con 200.000 effettivi indiani, tra musulmani e
indù. I ribelli videro nell'imperatore Moghul l'autorità
politica a cui sottoporsi. Le cause profonde della rivolta
vanno cercate nella crescente arroganza dei dominatori
britannici e nel totale disprezzo a cui gli europei erano ormai
arrivati nei confronti della plurimillenaria civiltà indiana.
Dopo diciotto mesi di cruenti scontri, le forze britanniche
reprimeranno nel sangue la rivolta, ponendo fine al già
crepuscolare impero Moghul.
Prima della fine, però, l'impero Moghul è stato capace di
esprimere i suoi ultimi bagliori nella raffinata ricerca
estetica di una corte di artisti e letterati di grande
creatività, nella cornice di un insospettato islam di
tolleranza e sincretismo. Su tutti, il più geniale poeta in
lingua urdu e persiana del periodo: Ghalib.
E la corte ha anche il suo volto di ozi e delizie.
Segue una drammatizzazione ambientata al termine della
riconquista di Dehli da parte delle truppe inglesi. Ghalib
testimonia — tra cronaca e poesia — la tragedia
della guerra nella narrazione di Sylvie Capelli.
Sullo sfondo fa il suo ingresso Enrico Asti come il colonnello
Burn.
Il colonnello interroga Ghalib, portato
intanto in scena da Lorenzo
Marangon.
Ghalib —
abbattuto per il drammatico esito della rivolta, ma ancora
arguto — arringa il colonnello Burn.
Ma subito dopo ritorna in un profondo sconforto, realizzando le
condizioni della Delhi post Moghul. È la vista di una giovane
prostituta che il poeta crede di riconoscere, ad attivare un
travolgente flashback per regredire fino ad un leggero ricordo
nei giardini del Forte Rosso di
Delhi.
Compare in scena Grazia Guarnieri
come la principessa Rabeya, figlia dell'ultimo imperatore
Moghul: Zafar.
La principessa — bella e di acuta intelligenza, ma ancora
troppo giovane — è più volte sul punto di mettere in
difficoltà il poeta, colto di sorpresa in un momento di
probabile malinconia.
Ne nasce una gustosa schermaglia in cui la scaltrezza di Ghalib finisce,
poco a poco, col consentire al poeta di superare lo svantaggio
iniziale.
Ha inizio — subito dopo la performance — l'Aperithé, tutto
caratterizzato da appetizer indiani, riso speziato all'uvetta e
pollo al curry. Seguono dolci tipici indiani.
Vero protagonista dell'Aperithé è stato
il Masala chai indiano. Si tratta in realtà di una vera e
propria ricetta, costituita da the Assam, latte, zucchero e un
mix di spezie che possono variare secondo le diverse località
del sub continente indiano. Seguendo i suggerimenti di Arte & Professione del
the sono stati usati: pepe nero dolce, cannella,
cardamomo, chiodo di garofano, coriandolo, zenzero e noce
moscata.
Alla ripresa l'attenzione torna sulla rivolta dei Sepoys. Dopo
aver chiarito le ragioni in profondità della sommossa, Raffaele d'Isa
si sofferma sulla causa scatenante di quell'evento: un nuovo
fucile di ordinanza la cui procedura di caricamento prevedeva
che i soldati indiani strappassero coi denti l'involucro
ingrassato di una cartuccia. Ma la mistura grassa era preparata
mescolando grasso di bovino con grasso di maiale, offendendo in
tal modo sia la fede induista sia la fede musulmana.
Hanno inizio i preparativi per l'intervento di Walter Porzio. Lo
special guest è un personaggio di raro eclettismo. Conosciuto e
apprezzato fotografo, ha pubblicato libri anche come scrittore,
per le vaste conoscenze maturate attraverso decenni di viaggi
in tutto il mondo.
Le preferenze di Walter Porzio
toccano i contesti geografici in cui maggiori sono le
suggestioni etnoculturali. Le presenze del viaggiatore nella
sola India si annoverano in non meno di sessanta nell'arco di
circa quattro decenni.
In uno stile scorrevolissimo — ma non per questo meno
rigoroso — Walter sfodera
immagini su immagini del sub continente indiano, oltre a quelle
che scorrono alle sue spalle; solo una minima parte del suo
corpus fotografico indiano.
Il discorso del viaggiatore assume tratti di una vertiginosa
ipertestualità, sia per gli inevitabili collegamenti tra i
molteplici argomenti toccati sia per le incalzanti domande del
pubblico.
L'intervento di Walter Porzio tocca
anche alcuni punti di filosofia del viaggio precedentemente
oggetto di suoi interventi saggistici. Si rifiuta innanzitutto
l'accezione peggiorativa del termine turista rispetto a quello
di viaggiatore, perché i due termini sono in realtà equivalenti
da un punto di vista etimologico.
Le differenze tra persone viaggianti possono semmai valere
indagando sulle reali intenzioni del viaggio.
E, in questo ordine di idee, la ricerca di una trasformazione
interiore costituisce la più degna aspirazione di colui che si
mette in viaggio. Sembra di ascoltare il più autentico erede di
un Marco Polo o di
un Ibn Battuta.
Il clima in sala — con l'entusiasmo del pubblico e le
raffiche di domande rivolte a Walter Porzio
— è tale da determinare un fuori programma: la cerimonia
del the non si svolge con le consuete forme, ma l'abbondante
Masala chai precedentemente preparato viene ripetutamente
versato a tutti i presenti.
E il commiato si prolunga, tra convivialità e ulteriori spunti
di dialogo, in un'attenzione verso l'India che non vuole
cessare.
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