L’Etiopia è un Paese dalle mille facce, dalle cascate del Nilo azzurro al lago Tana, dai monti del Simien a quelli di Bale e all’Harar, dalla depressione Dankala alla valle dell’Omo in un susseguirsi caleidoscopico di etnie tribali, paesaggi struggenti e culture varie.
In questo reportage vi voglio parlare della Rift Valley, la grande spaccatura terrestre che in epoche remote ha creato nel suo alveo un mondo a sé pieno di meraviglie e sorprese anche per i viaggiatori più esperti.
Partito da Addis Ababa con la mia Toyota, scendo la sponda occidentale della valle passando per Butajira in direzione di Arba Minch che è il punto più a sud del lato occidentale. Sono nella zona dei popoli Wolayta gente di bassa statura, chiari di pelle e coltivatori di ensete (il falso banano). Con una lunga tirata raggiungo Arba Minch che in amarico significa “40 sorgenti”. Dalla scarpata si vede il lago Chamo e in lontananza il lago Abaya divisi da un lembo di terra chiamato “Ponte del Cielo”. Nelle vicinanze c’è un parco il Nechisar molto grande, bello naturalisticamente ma con poca selvaggina. Il clou da queste parti è rappresentato dalla navigazione sul Chamo che, situato a 1233 mt di altitudine, offre spunti davvero affascinanti. Qui i visitatori sono veramente pochi, infatti, centinaia di coccodrilli tra i più lunghi dell’Africa nuotano e sostano tranquillamente sulle sponde tanto da meritarsi il nomignolo di ”mercato dei coccodrilli” (Lonely Planet) inoltre, folti gruppi di ippopotami e infinite specie di uccelli completano l’idillio. Uno spettacolo indescrivibile anche per me che di parchi e savane ne ho viste a iosa.
Due giorni dopo salgo ai 1600 mt di Chencha nei monti Guge dove vive un’etnia interessantissima: i Dorze. Un popolo di abili tessitori che abitano in capanne di paglia alte anche 12 metri a forma di elefante.
Il giorno successivo vado a Konso per incontrare i Konso e gli Erbore appartenenti alla grande famiglia degli Oromo. Da qui proseguo per Dublokh per assistere all’abbeverata di centinaia di bovini ai “Pozzi Cantanti”.
Indi il mio viaggio mi porta al cratere di El Sod, un vulcano estinto a 1480 mt che nell’ex caldera ospita un lago nero dal quale l’etnia Borana estrae sale che trasporta sul bordo con centinaia di somari.
Ora inizio a risalire la valle del Rift dal lato orientale. Lo spettacolo non è meno straordinario di quello del lato occidentale, laghi salati e non, zeppi di fauna: uccelli, ippopotami e pesci tra i quali la tilapia del Nilo. Il Lago Zway dal quale affiorano cinque isole di origine vulcanica, il lago Shala, l’Abyata, il Langano dal tipico colore rossastro dovuto ai sali minerali di origine ferrosa disciolti nelle sue acque. La strada sale tra grandi piantagioni di caffè, banane e ananas. Dopo vari tentativi in tempi passati, finalmente riesco a visitarne una e a seguirne il processo di lavorazione.
Rientro ad Addis Ababa pienamente soddisfatto, anche se non è la prima volta che mi spingo da quelle parti, ogni volta scopro nuovi motivi d’interesse.
In questo reportage vi voglio parlare della Rift Valley, la grande spaccatura terrestre che in epoche remote ha creato nel suo alveo un mondo a sé pieno di meraviglie e sorprese anche per i viaggiatori più esperti.
Partito da Addis Ababa con la mia Toyota, scendo la sponda occidentale della valle passando per Butajira in direzione di Arba Minch che è il punto più a sud del lato occidentale. Sono nella zona dei popoli Wolayta gente di bassa statura, chiari di pelle e coltivatori di ensete (il falso banano). Con una lunga tirata raggiungo Arba Minch che in amarico significa “40 sorgenti”. Dalla scarpata si vede il lago Chamo e in lontananza il lago Abaya divisi da un lembo di terra chiamato “Ponte del Cielo”. Nelle vicinanze c’è un parco il Nechisar molto grande, bello naturalisticamente ma con poca selvaggina. Il clou da queste parti è rappresentato dalla navigazione sul Chamo che, situato a 1233 mt di altitudine, offre spunti davvero affascinanti. Qui i visitatori sono veramente pochi, infatti, centinaia di coccodrilli tra i più lunghi dell’Africa nuotano e sostano tranquillamente sulle sponde tanto da meritarsi il nomignolo di ”mercato dei coccodrilli” (Lonely Planet) inoltre, folti gruppi di ippopotami e infinite specie di uccelli completano l’idillio. Uno spettacolo indescrivibile anche per me che di parchi e savane ne ho viste a iosa.
Due giorni dopo salgo ai 1600 mt di Chencha nei monti Guge dove vive un’etnia interessantissima: i Dorze. Un popolo di abili tessitori che abitano in capanne di paglia alte anche 12 metri a forma di elefante.
Il giorno successivo vado a Konso per incontrare i Konso e gli Erbore appartenenti alla grande famiglia degli Oromo. Da qui proseguo per Dublokh per assistere all’abbeverata di centinaia di bovini ai “Pozzi Cantanti”.
Indi il mio viaggio mi porta al cratere di El Sod, un vulcano estinto a 1480 mt che nell’ex caldera ospita un lago nero dal quale l’etnia Borana estrae sale che trasporta sul bordo con centinaia di somari.
Ora inizio a risalire la valle del Rift dal lato orientale. Lo spettacolo non è meno straordinario di quello del lato occidentale, laghi salati e non, zeppi di fauna: uccelli, ippopotami e pesci tra i quali la tilapia del Nilo. Il Lago Zway dal quale affiorano cinque isole di origine vulcanica, il lago Shala, l’Abyata, il Langano dal tipico colore rossastro dovuto ai sali minerali di origine ferrosa disciolti nelle sue acque. La strada sale tra grandi piantagioni di caffè, banane e ananas. Dopo vari tentativi in tempi passati, finalmente riesco a visitarne una e a seguirne il processo di lavorazione.
Rientro ad Addis Ababa pienamente soddisfatto, anche se non è la prima volta che mi spingo da quelle parti, ogni volta scopro nuovi motivi d’interesse.